Trenta secondi alla partenza– annuncia una voce al mio fianco.

Ultimi respiri, concentrazione massima. Occhi chiusi, mentalmente ripercorro tutte le fasi della prestazioni, ricerco le sensazioni fisiche e psichiche che andrò ad affrontare da lì a pochi secondi. Il mio allenatore è dietro di me, non mi parla, non mi sfiora, ma so che è lì ed è un piacere infinito. A fine vasca ci sono tutti i miei compagni di squadra. Un muro di divise blu che oscura tutto il resto. Ci sono io, ci sono loro e nient’altro. Perfino tutta la folla di agonisti proveniente da ogni parte d’Italia sembra eclissata.

Dieci

Un respiro profondissimo, cerco per un ultimo istante i loro sguardi che sono fissi su di me.

Cinque, quattro, tre, due, uno

Si parte con il cuore in gola, l’adrenalina nelle vene e la grinta nelle gambe.

I primi metri sono di pura euforia e terrore. Ce la farò? Riuscirò a portare a termine la prestazione che mi sono prefisso? Riuscirò a rendere il giusto omaggio alla mia squadra, ai miei amici? Li deluderò se non dovessi riuscirci?

Pochi attimi e la tensione si allenta, il corpo si assesta in una postura idrodinamica e si inizia a gareggiare sul serio. I primi cinquanta metri sono facili, cerco lo scivolamento e mi concentro sulla pinneggiata. Poi inizia la sofferenza. La sensazione di mancanza d’aria, la voglia di uscire e respirare, di mollare tutto e prendere fiato. Di nuovo quel terrore di non farcela che però sembra concretizzarsi. Ed allora penso a chi mi sta guardando in quel momento, che si è allenato con me e crede in me, che ha condiviso successi e sconfitte, che mi ha donato un pezzo della sua vita per permettermi di migliorarmi, che è lì per me. Non ho voglia di deluderlo e non ho voglia di deludere me stesso e tutto il lavoro fatto. Tutte le ore strappate alla famiglia, ai sacrifici, alle ore di sonno perso. Ed allora si continua, con la sofferenza addosso. Si continua a nuotare per inerzia finché quelle sensazioni si mettono a tacere. Finché tutto nella mia testa tace. Non ci sono ansie, né paure, non ci sono distanze da compiere, non c’è niente al di fuori di me e delle mie sensazioni.

Ma tutto ha un fine, e sono io a scegliere di uscire. Mi appoggio al bordo e respiro con vigore. Prima ancora di vedere il giudice trovo il mio allenatore e gli sorrido. Dò l’ok con la mano, respiro, faccio l’idiota per scaricare la tensione. Cerco i miei compagni di squadra che sono tutti lì, mi sorridono. Il giudice convalida la prova ed allora sento lo scrosciare di applausi.

Mi abbracciano, si congratulano, mi rincuorano. Vedo la distanza che ho compiuto, migliore della precedente gara. Sono soddisfatto, molto. Ogni metro lo dedico alla mia famiglia, alla mia squadra che mi supporta. Quel traguardo è frutto di un lavoro fatto insieme e che senza di loro non avrei mai potuto raggiungere. Ogni metro è una conquista che si fa insieme. Il successo di uno è il successo di tutti e loro sono lì a dimostrarmelo. A dimostrarmi che avevo torto ed io non posso che essere felice di questo. Non posso che essere felice di aver trovato oltre che dei compagni di squadra, degli amici veri, con i quali crescere in questo fantastico percorso, con i quali sto imparando che non esistono limiti, che i limiti sono solo nella nostra mente e che insieme si può superare qualsiasi ostacolo.

Splendore Mauro

Uno “Splendore” di 139 metri